Un ulteriore, indispensabile cambiamento cui bisogna porre attenzione è nel modo di fare formazione.
Il primo concetto fondamentale da trasmettere ai lavoratori, ( cosa che non ho riscontrato tra le righe di nessun programma formativo,)  è  che, a differenza del passato quando preso il diploma potevi buttare via i libri, oggi il continuo apprendimento di nuove cose è ormai una necessità indispensabile per la nostra vita: da quando acquisti uno spremiagrumi per la tua cucina a quando ti trovi su una impalcatura di lavoro.  

La seconda cosa da capire è che,  poiché la formazione viene impartita a persone adulte che non si affidano alla autorità della maestra come avveniva da bambini, non si può non tener conto che l’insegnamento viene accettato se porta una effettiva utilità, altrimenti viene noiosamente e passivamente subito senza dare risultato.

I CONTRATTI COLLETTIVI DI LAVORO
Perciò se si decide che un lavoratore ha bisogno di formazione vuol dire che intendiamo migliorare il suo bagaglio di professionalità portandolo ad un livello superiore.   Sarebbe quindi naturale che il Contratto Collettivo di lavoro prevedesse per questa crescita un diverso inquadramento con relativo incremento economico di retribuzione.      Credo che questo sarebbe il sistema idoneo per far diventare il messaggio formativo ascolto partecipato, interessante, e perciò assimilato.

C’è una nuova scienza, si chiama andragogia, che spiega questi concetti ma non ho notizia che alle agenzie formative abilitate venga richiesta alcuna preparazione su questi temi.                            

Fino a che saranno soggetti esterni ed istruttori estranei al lavoro a spiegare come si deve lavorare avremo sempre un ascolto superficiale, avremo letteratura della sicurezza, o se vogliamo chiamare le cose per nome,  avremo autorizzato a lavorare Aziende che non conoscono bene alcuni passaggi della attività che intendono fare, tanto che hanno bisogno di farseli spiegare da estranei.
E’ degno di attenzione il fatto che tra i soggetti abilitati alla docenza non compaiono né il Datore di Lavoro né i Dirigenti o i Preposti.
Quindi: il Datore di Lavoro è colui che deve fare la Valutazione dei Rischi, deve fare il programma di sicurezza per eliminare i rischi, ma non può fare formazione ai suoi dipendenti…..  C’è da chiedersi come ha fatto a rilevare e valutare i rischi se poi non è in grado di spiegarli ai suoi dipendenti.
La risposta non è difficile: non l’ha fatta lui la Valutazione dei Rischi, ma l’ha commissionata.
Se invece fosse il Datore di Lavoro ( o il Capo Reparto –  Capo Turno – Caposquadra ) ad impartire le modalità di lavoro che devono essere praticate nell’ azienda, modalità che nel loro svolgersi comprendono anche i comportamenti di sicurezza, avremmo annullato il dualismo tra modalità di lavoro e modalità di sicurezza, tra chi vuole la sicurezza e chi vuole la produzione.

LE UNITA’ DI COMPETENZA

Se ci avviciniamo con attenzione alla formazione che impartiamo non possiamo non notare la distanza dei nostri metodi formativi da ciò che le direttive europee impongono.   Le procedure di formazione ufficialmente riconosciute e finanziate, richiedono che la elaborazione dei programmi formativi venga fatta seguendo il criterio delle c.d. “unità di competenza “.
Senza voler entrare nello specifico tecnico di questo procedimento, che comunque chi fa formazione conosce perfettamente, va ricordato che quel criterio formativo trasferisce al lavoratore conoscenze,   abilità e comportamenti: in altre parole si devono trasmettere al lavoratore le necessarie conoscenze teoriche, si deve spiegare come lui in base alle conoscenze acquisite deve poi lavorare e si chiarisce il nuovo ruolo di responsabilità che quelle nozioni gli conferiscono.  Noi, per sentirci in regola, elaboriamo programmi formativi per unità di competenza ma nella realtà poi ci fermiamo molto spesso alle spiegazioni tecniche, qualche volta curiamo anche la seconda fase, ma in genere evitiamo di coinvolgere i lavoratori in un comportamento che li vedrebbe più protagonisti, consapevoli e responsabili di ciò che fanno.   Perché è ancora presente chi sostiene che la responsabilità deve essere solo del Datore di Lavoro ed il Lavoratore non deve rispondere di nulla.   Invece sarebbe auspicabile che questi concetti venissero a completare la attività dei lavoratori che devono maturare responsabilità verso se stessi, verso i colleghi e verso l’Azienda.

Tutti ci sentiamo colpiti dal verificarsi di un grave incidente sul lavoro e ci teniamo ad esternare il nostro profondo rammarico, ma se invece di azioni emotive si tenesse una assemblea con i lavoratori per ricostruire cosa è successo nelle ultime ore, come è maturato l’incidente, si farebbero emergere violazioni, mancanze, negligenze, superficialità, errori, o forse, solo la fatalità.

E se una assemblea si facesse anche sui mancati infortuni, quelli che ci fanno dire:” per un pelo non è successo un disastro… “  forse i lavoratori imparerebbero qualcosa di più che non dai corsi di formazione o dalle sentenze di Tribunale o dagli scioperi.
Qualcuno potrà obiettare che non tutti i Datori di Lavoro sono in grado di svolgere questo compito, ma allora dobbiamo chiederci quale può essere il modo migliore per aiutarli.   Sono diverse le iniziative che potrebbero essere messe in cantiere, se cominciamo a pensarci.  

Sono tante le verità che si celano dietro un infortunio sul lavoro, tante ed anche scomode perché vengono a turbare le nostre abitudini.  Però la cosa più sbagliata che possiamo fare è quella di lasciare soli i Datori di Lavoro ed i Lavoratori.   E’ inutile dirci che sono maturi, sono capaci, sapranno cavarsela, perché i primi continueranno ad accomunare tra i rischi d’impresa anche i rischi della salute dei dipendenti e gli altri continueranno a tentare la sorte seguendo quel vecchio detto …. perché tanto a noi non succede ”.