Alla ricerca della comodità, che oggi sembra aver preso un posto importante nei nostri pensieri, si accompagna una pigrizia mentale che ci fa considerare le vicende che ci toccano solo nella loro finale ed evidente manifestazione.

La pubblicità è il veicolo portante di questa abitudine, ma sembra che anche ampi settori del sistema sociale si siano adattati a questo modo di fare.
Hai male alla schiena? Ecco la pomata che te lo fa passare.
Non hai rispettato le norme che regolano il lavoro? Ecco la sanzione che ristabilisce la legalità.
Ma in entrambi i casi difficilmente ci si sforza di andare a verificare il motivo che ci procura dolore alla schiena o cosa non ha funzionato nella prevenzione.

E così proliferano gli interventi curativi senza che vengano risolti i mali.

La sicurezza sul lavoro riguarda la nostra organizzazione di vita ed anche essa risente in qualche modo della consuetudine che ho richiamato.
C’è un infortunio sul lavoro? Si emette un comunicato di sdegno, si organizza uno sciopero, e si affida ad estranei, i Giudici, il compito di cercare i colpevoli, dimenticando che il lavoro dei Giudici è basato sull’esame di carte e le carte non sempre esprimono la verità di quanto accade, perché
la Legalità non sempre coincide con la verità.

I dati forniti dall’INAIL ci dicono che negli anni ’80 – ’90 del secolo scorso le morti sul lavoro facevano registrare una media di 1.420 casi l’anno.
Su preciso invito della Comunità Europea anche il Parlamento Italiano metteva a punto una serie di provvedimenti decisamente innovativi rispetto al passato codificati nella Legge n. 626/1994 e successivamente dal Dlgv 81/2008. Ma, nonostante ciò, in tutti questi anni non siamo mai scesi sotto la cifra di 1.000 morti /anno. Nel 2022 abbiamo contato 1.208 morti sul lavoro, nel 2021 erano stati 1.221, e se vogliamo ragionare in termini di giorni dobbiamo dirci che abbiamo avuto in media 2-3 morti al giorno. Tutte persone che sono uscite di casa credendo di aver trovato nel lavoro la soluzione ai loro problemi ma invece vi hanno trovato la morte.
Però nel frattempo, dopo la legge 626, sono stati emanati 236 atti contenenti disposizioni in materia di tutela della sicurezza sul lavoro.
Non possiamo certo dire che il Parlamento non si sia dato da fare.

COSA SUCCEDE NELLE ALTRE NAZIONI.
Se confrontiamo i nostri risultati dati con i dati europei in relazione al numero di lavoratori occupati gli ultimi dati elaborati da EUROSTAT rilevano che la Nazione con maggiore incidenza di infortuni mortali sul lavoro è la Romania: 4,33 su centomila, seguita dalla Francia 3,74 e dall’Italia 2,25. La Germania che nel 1992 aveva registrato 1752 incidenti mortali nel 2016 ne registrava 393 ed ora segna lo 0,78. Tutte le altre nazioni europee segnano percentuali molto inferiori a quella italiana.
A differenza di altri, il nostro Servizio di Prevenzione non è stato inoculato dentro i meccanismi produttivi aziendali ma è rimasto esterno, distinto dal menage quotidiano dell’Azienda.

L’esempio della Germania
Può essere interessante verificare risultati ottenuti dalla Germania su questo tema. Nel 1996, mentre noi facevamo la legge 626 dando vita al Servizio di Prevenzione e Protezione, loro anno istituito un sistema cosiddetto duale: lo Stato traccia la strada emanando leggi di carattere generale che i singoli Territori completano con norme di funzionamento del lavoro nelle singole realtà lavorative.

I Consigli o Comitati Aziendali di fabbrica.

A differenza di noi non hanno dato a Professionisti esterni l’incarico di ricercare i possibili rischi teorici ma si sono concentrati su come organizzare il lavoro nelle singole realtà eliminando le situazioni rischiose che venivano riscontrate. Nelle Aziende sono stati istituiti i “Consigli“ o “Comitati aziendali di fabbrica” che realizzano la attiva e responsabile partecipazione dei lavoratori, dei quadri intermedi e dei dirigenti e del datore di lavoro che agiscono insieme per elaborare la Valutazione dei Rischi e predisporre le misure di prevenzione.

L’Azienda assicura formazione specifica in base ai rischi che vengono rilevati ed è il Datore di Lavoro ad impartire, o far impartire da suoi dirigenti la formazione che diventa così modo unico, e quindi obbligatorio e normale di lavorare. L’Assicurazione infortuni è obbligatoria ma viene stipulata con enti privati i quali hanno diretto interesse a verificare con frequenti ispezioni che le normative di prevenzione vengano rispettate.

I Paesi Anglosassoni.
Quello che noi non abbiamo fatto è stato invece praticato dai Paesi Anglosassoni che da anni fondano la sicurezza del lavoro sul metodo BBS ( Behavior Based Safety ) cioè su un metodo pragmatico che invece di andare ad elencare tutti i possibili rischi ha riordinato lo svolgimento del lavoro.
Il lavoratore è tenuto a comportarsi come gli è stato ordinato e il suo comportamento rivela se sono state assimilate e condivise procedure di lavoro assegnate. Era il 2006 quando l’ing. Roberto Testore, Amministratore Delegato di Trenitalia e Consigliere di Assolombarda, in occasione di uno specifico convegno pubblicò i risultati di uno studio da cui emergeva che una importante causa degli incidenti sul lavoro è da ricercarsi nei comportamenti dei lavoratori. E diceva che la formazione impartita da tecnici esterni alle dinamiche e alle consuetudini aziendali non è sufficiente da sola a ridurre gli incidenti. Era il 2006, ma chi lavorava alla stesura del T.U. Sicurezza promulgato due anni dopo, nel 2008, non ha ritenuto interessanti quelle considerazioni.

Noi abbiamo creduto che gli Imprenditori modificassero i loro programmi di lavoro perché un Tecnico esterno imponeva loro cose nuove, ma la realtà ci dice che così non è stato. E chi vive dentro il mondo delle PMI lo sa.

Piace a molti citare l’art. 1 della Costituzione, quello che dice che il nostro vivere insieme è fondato sul lavoro, attribuendo, con poche parole, al lavoro una funzione sociale. Oggi il lavoro costituisce l’unico modo civile di vivere e pertanto è necessario tutelarlo anche dalla eventuale impreparazione di alcuni imprenditori. Il Servizio di Prevenzione così come concepito sta dimostrando di non essere lo strumento migliore.

COSA SUCCEDE DA NOI.

Nelle Piccole e Medie Aziende
Nel nostro sistema la Legge vuole che sia il Datore di Lavoro ad effettuare la ricognizione e valutazione dei rischi presenti in azienda (art. 17 Dlgv 81/2008) avendo cura di “consultare” i lavoratori. Nei fatti succede che il Datore di Lavoro dia incarico ad altri per l’assolvimento di questo obbligo perché lui non è competente e poi ha altro da fare. Non risulta che i professionisti esterni incaricati di redigere il documento di valutazione dei rischi siano poi andati a riunire e consultare i lavoratori. E poiché l’intervento di Professionisti esperti ha un costo significativo ci si affida a persone che, armate di buona volontà ma non di titoli appropriati, con il solo requisito di aver frequentato il corso di 60 o 120 ore per Responsabile del Servizio di Prevenzione, si sono improvvisate ad addentrarsi in un contesto gestionale che non è il loro. Il Legislatore ha dato per scontato che dal momento che un imprenditore mette in piedi una iniziativa ne conosca tutti i meandri, mentre la realtà ci dice che così non è.

L’esperienza ci dice che la mancata selezione operata dallo Stato su questi Tecnici ha provocato casi molto diversi: c’è chi, avendone le conoscenze, ha elaborato Documenti di Valutazione idonei allo scopo e chi si sia limitato a redigere molte pagine di copia-incolla ricavate da Google riportando le disposizioni di legge che non sarebbe il caso di riportare, dal momento che sono già scritte nella Legge, ma comunque fanno volume e danno tono all’opera.

Viene così assolto il fondamentale obbligo senza che i lavoratori ne siano informati, vengano coinvolti e siano chiamati a partecipare ed esprimere un loro parere.

Il risultato è che le procedure abituali di lavoro vengono infastidite da divieti e prescrizioni che non sono maturate dentro il lavoro ma vengono imposte dall’esterno, ed hanno un costo aggiuntivo rispetto ai costi storici: si è pensato di creare la sicurezza con ore ed ore di formazione distinta dai programmi di lavoro. Le aziende l’hanno subita con lo stesso animo con cui si subisce l’imposizione fiscale: “se posso la evito, se non posso in qualche modo mi adatto”.
La mia esperienza mi dice che questo è ciò che accade tutti i giorni, non certo in tutte, ma in molte piccole e medie aziende.

Nelle Aziende Strutturate
Invece nelle aziende strutturate, che sono assistite da professionalità più elevate, si è originata una tensione inopportuna tra il Responsabile del Servizio di Prevenzione e il Responsabile della produzione e, dal momento che il primo non poteva contare su alcun potere gerarchico, ha prevalso sempre la necessità di rispettare i tempi di produzione imposti da chi ha potere di farlo. L’errore è stato più grande di quanto possa apparire perché i tempi di produzione sono il principale fattore che porta in azienda gli stipendi per i dipendenti e questo dualismo invece finisce con il creare la figura della vittima e dello sfruttatore. La cosa da fare era, come in Germania, intervenire a monte sui processi di lavoro in modo da renderli sicuri. Non facendo così il risultato, non sempre ma in alcuni casi, è stato che non erano le modalità di lavoro che venivano corrette e adeguate ai sistemi di sicurezza, ma erano i sistemi di sicurezza che venivano in qualche modo resi compatibili con le esigenze della produzione.